SEAT Mii #cogliloccasione: il selfie di Giada, scelto dalla redazione.
Nell’epoca di Instagram, anche un pomeriggio speciale di shopping ha inizio con un selfie. Quello che Giada, 30 anni, organizzatrice di eventi e congressi medici, decide di scattarsi per partecipare allo scouting #cogliloccasione, organizzato da SEAT Mii in partnership con Glamour. Deve concentrarsi su un dettaglio di stile che la rappresenta meglio di altri. Allora, si mette in posa al mare, sul pedalò, e indirizza l’obiettivo dello smartphone verso la blusa coloratissima, che le lascia le spalle scoperte. Il messaggio è chiaro: nel tempo libero, sì a un look sporty chic, fit & fun.
Il selfie e il messaggio conquistano la redazione. Giada conquista una sessione di shopping romano, in compagnia di un’amica, Gaia, e, soprattutto, di uno stylist molto glam: Simone Guidarelli, che si mette a disposizione per trovarle i total look più adatti.
Prima, una tappa da Atelier Livia Risi a Trastevere per abiti e T-Shirt alla marinara. Dopo, da Kaja nel rione Monti, per abbinare le scarpe giuste. «Magari Simone potesse sempre accompagnarmi nei negozi. E non solo lui». L’amica Gaia? «La SEAT Mii, con cui abbiamo girato per la città. L’ho guidata e mi ha stregata al primo parcheggio: è facilissima da posteggiare. Anche negli spostamenti è davvero agile. Per essere una city car, poi, è superaccessoriata: basta un’occhiata al cruscotto, ricco di dettagli di design, per rendersene conto. E vogliamo parlare della comodità del computer di bordo, del bluetooth e delle finiture?».
Gli interni della SEAT Mii.
A dimostrazione della soddisfazione di Giada, il selfie di fine giornata. Perché, nell’epoca di Instagram, anche un pomeriggio speciale di shopping termina con un autoscatto 2.0.
SEAT Mii #cogliloccasione: al centro, lo stylist Simone Guidarelli. A destra, Giada. A sinistra, la sua amica Gaia.
Per scoprire quali consigli di stile Simone Guidarelli ha dato a Giada, guardate il video-reportage del loro pomeriggio insieme.
[…] Che sia un’andata o un ritorno Che sia una vita o solo un giorno Che sia per sempre o un secondo L’incanto sarà godersi un po’ la strada […]
La regola n°1 del “buon viaggio” la canta bene Cesare Cremonini nell’omonimo singolo del 2015, estratto dal cd Più che logico live: è questione di “godersi un po’ la strada”. Per metterla in pratica, non si tratta di chiamare in causa un altro artista, Lucio Battisti, e seguire alla lettera le strofe di Sì viaggiare (1977, dall’album Io tu noi tutti): “evitare le buche più dure”, “rallentare per poi accelerare”, “gentilmente senza strappi al motore”.
Per “godersi un po’ la strada” ci vogliono due ingredienti: l’auto giusta e la colonna sonora giusta.
Che il tragitto sia da casa all’ufficio o dall’ufficio alla casa al mare poco importa: per muoversi agili e sicure, stilose e chic, quest’estate l’auto giusta si chiama SEAT Mii. Perché? Facile: la quattro posti created in Barcellona ha il glamour nel look e nelle prestazioni. Di lei colpisce il design iperfemminile, la massima cura nei dettagli, l’elevato livello di personalizzazione degli interni. Ancora, il bagagliaio da record (ideale per lo shopping cittadino e per i weekend lunghi fuori porta, appunto) e le soluzioni tecnologiche intelligenti a portata di mano. Volete qualche esempio? Il Bluetooth, così SEAT Mii dialoga con il vostro smartphone e riproduce le hit lì contenute; e poi il Sound System, che vi consente di ascoltare cd e Mp3, di regolare il volume di ciascun altoparlante e il livello dei toni bassi e alti, di cercare più velocemente le stazioni radio preferite.
Che il viaggio sia da sole o con le amiche, non conta: la colonna sonora giusta dell’estate 2016, preparata per voi dalla redazione, si adatta alle circostanze. 20 brani “caldi”, del presente e del futuro (scommettiamo resteranno tormentoni fino a settembre!), da sentire in due tempi: si parte con un mix di 10 canzoni dance, per tamburellare con le dita sul volante, guardare lo specchietto retrovisore a ritmo di musica, immaginarsi in spiaggia dove ballare sui lettini dal tramonto al tramonto, salutare i bambini sorridenti sulle macchine in coda, non prendersela per la coda. Si continua con una playlist tutta da intonare, perché è composta di quelle hit che avete di sicuro già nella testa. Buon viaggio!
1. PER CHI L’ESTATE È SOLO MARE ALBANIA, VALONA
Il Paese della aquile si sta mettendo in tiro e debutta, a sorpresa, come meta del 2016. Glamour consiglia la penisola di Karaburun, che circonda Valona, a sud: fondali pazzeschi, calette con spiagge di sassi bianchi, grotte magiche. Imperdibile la baia di Grama (googlare per credere a questo paradiso in terra). Si mangia benissimo con poco, si pernotta nei cinque stelle a picco sul mare spendendo meno di 850 euro per 14 giorni (al New York Hotel, da booking.com, per esempio), si vola con la low cost Blue Panorama.
2. PER CHI PUNTA LA MONTAGNA TRENTINO ALTO ADIGE, RABBI
Dimenticate le “classiche” Madonna di Campiglio e Pejo. Andate alla scoperta delle valli segrete. La nostra preferita è la Val di Rabbi, che fa parte del territorio protetto dal Parco dello Stelvio. Ci piace per le spumeggianti cascate del Saent, il prato delle marmotte, il percorso Kneipp gratis, il nuovo ponte sospeso sul torrente Ragaiolo a quota 1.336 metri. E per gli hotel: perle di rara ospitalità a 70 euro al giorno, in pensione completa; come il Miramonti (albergomiramonti.info).
3. PER CHI CERCA LA CULTURA SPAGNA, MALAGA
Nella to-do-list del New York Times c’è un bel viaggio nella città andalusa, che sta emergendo come polo artistico, grazie soprattutto all’apertura di altri tre musei. Il più significativo: il Centro Pompidou (nella foto sopra), edificio pop sul lungomare che ospita una selezione di 93 capolavori, comprese le opere di Marc Chagall, Giorgio de Chirico, Frida Kahlo. Per risparmiare sull’alloggio, date un occhio alla catena Feel Hostels (feelhostels.com): contemporanea, divertente, con prezzi anticrisi. Quanto alla compagnia aerea, sì a Ryanair.
4. PER CHI VUOLE SOLTANTO RELAX LOMBARDIA, LAGO D’ISEO
Archiviati i giorni d’assalto alla passerella galleggiante di Christo, The Floating Piers, lo specchio d’acqua incastonato tra le montagne della valle Camonica e i vigneti della Franciacorta torna a essere il meno turistico. E il più rilassante. Suggestive passeggiate, piccoli porti, ville liberty, pesce fresco pescato con i naecc (la barche dalla forma affusolata). Fate base in un B&B accogliente, a gestione famigliare, trovato su bbplanet.it (a partire da 60 euro a notte), e da lì muovetevi.
5. PER CHI È UNA VERA FOODIE DANIMARCA, COPENHAGEN
Se la pausa estiva è un’occasione per scovare nuovi trend del gusto, scegliete la capitale danese: dal 19 al 28/8 c’è il Copenhagen Cooking & Food Festival, l’evento clou dei sapori. Raggiungete la città con un volo Norwegian Air Shuttle e giratela in bicicletta (è appena stata nominata la più bike friendly). Soggiornate in un ostello di design stile Urban House a Vasterbro, la zona hippy (urbanhouse.me). E investite il resto del budget nel miglior ristorante al mondo, il Noma (noma.dk).
6. PER CHI NON STA MAI FERMA BASILICATA COAST TO COAST
Come Alessandro Gassmann e gli altri protagonisti dell’omonimo film. Da Maratea a Scanzano Jonico, 233 chilometri a piedi. Nell’anno dei cammini lenti, ecco la vacanza per le trekker più appassionate. Tappe obbligate: la città fantasma di Craco e il Torre Fiore Hotel Masseria a Pisticci, dove concedersi un paio di giorni di stop (hoteltorrefiore.com)
Quando l’abbiamo incontrata a Parigi, la sua città natale, ci ha fatto una promessa: «Presto sentirete parlare del prossimo progetto a cui ho deciso di prendere parte. Per ora è top secret. Posso solo anticipare un dettaglio della trama: ruota attorno al rapporto non convenzionale tra due sorelle, che intraprendono un viaggio».
Quel momento è arrivato. Eva Green, splendida cover girl di Glamour agosto, sarà la protagonista di Euphoria, esordio in lingua inglese della regista svedese Lisa Langleth. Insieme alla diva scoperta da Bernardo Bertolucci, un’attrice che è già un mito: Charlotte Rampling, e un’attrice che ha tutte le carte per entrare nel mito: Alicia Vikander (siamo proprio curiose di vederla in azione accanto a Matt Damon nel blockbuster di fine estate Jason Bourne).
Le riprese dovrebbero cominciare a brevissimo, i primi giorni di agosto, in una zona ancora non ben definita delle Alpi tedesche.
Forse, è questo il motivo per cui Eva non parteciperà alla 73esima Mostra di Venezia. Fino all’ultimo, i rumour l’hanno data per corteggiata. Avrebbe dovuto arrivare in Laguna per presentare Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, ultima opera del visionario Tim Burton, nelle sale italiane a dicembre. E invece, nulla di fatto. Peccato.
Però, possiamo trovare consolazione a partire dal film di apertura – in concorso – del festival cinematografico: La La Land, scritto e diretto da Damien Chazelle, il regista di Whiplash. I protagonisti? Emma Stone e Ryan Gosling, impegnati in numeri spettacolari di canto e di ballo che sono un sorprendente omaggio alla stagione d’oro del musical americano.
Dal musical “La La Land”, con Emma Stone e Ryan Gosling.
E per saperne di più sul ruolo di Eva Green in Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, sul suo ultimo viaggio in solitaria, sul vecchio negozio-chicca di Parigi dove alimenta la piccola collezione di farfalle, non perdete l’intervista di copertina di Glamour agosto, da pagina 65.
Kristina Bazan, al Festival di Cannes 2016 per L’Oréal Paris. Ph. Gareth Cattermole.
«Ci vuole l’onestà verso la propria audience, che significa mai considerarla naïf, superficiale, sciocca. Poi, l’autenticità: quando non credo in un prodotto, non ci metto la faccia. E ancora, una passione smisurata, per forza». Se Kristina Bazan, sul web Kayture.com, a 22 anni è tra le blogger più influenti del pianeta (e giovanissima e-spoke testimonial per L’Oréal Paris) c’è un motivo. Anzi, una ricetta. Gli ingredienti li spiega qui. I suoi segreti di bellezza e i beauty diktat dell’estate 2016, su Glamour Agosto, a pagina. 156.
Dunque, hai detto: onestà, autenticità, passione smisurata. Che altro serve per diventare una superstar della rete?
«Ricordare sempre: ogni cosa che si fa resta lì, nulla sparisce nel nulla. Ecco perché è molto, molto importante prendere parte solo e soltanto a progetti in cui si crede davvero».
Quali caratteristiche deve avere un blog per non invecchiare a breve?
«Ha bisogno di evolversi in una piattaforma multicontenuto, capace di ospitare attività diverse, formati differenti: canzoni, libri, foto, video…».
Qual è il tuo mantra professionale da taschino, estraibile all’occorrenza?
«Puoi anche possedere un grande talento, ma se non lavori sodo, nessuno lo scoprirà».
Dici Bianca Balti e pensi: super top. Ma la modella originaria di Lodi è, prima di tutto, una mamma felice (di due bambine) e una compagna innamoratissima. Sul nuovo Glamour (da pag. 137) svela i grandi passi che ha deciso di compiere nella vita privata. Qui di seguito, invece, qualche curiosità su di lei, che – molto probabilmente – non conoscete.
1. Da bambina, preferiva le bambole alle Barbie.
2. Da ragazza, ha trascorso un periodo da squatter, e questo, sì, lo sapete. Ma, forse, vi mancano alcuni dettagli: Bianca ha vissuto in un edificio occupato non lontano dal quartiere Corvetto, a Milano. Con lei, una quindicina di altri coetanei e oltre venti cani. Tra i ricordi: piercing à gogo, pasti con le verdure scartate al mercato, abiti confezionati con le stoffe di una fabbrica dismessa e la macchina da cucire della madre.
3. Il suo libro decisivo? Tropico del cancro di Henry Miller.
4. La mania beauty: prodotti a base d’olio per coccolare la pelle mista.
5. Uno degli ultimi rituali di bellezza: una specie di bibita drenante preparata lasciando in infusione un cetriolo tutta la notte.
6. Odiai party, le serate di gala: non sa mai quali argomenti affrontare e si sente svanire.
7. Si dichiara fan della nuova leva della moda Vittoria Ceretti. Classe 1988, da poco è stata da ritratta dalla fotostar Steven Meisel sulla copertina di Vogue.
8. Le piace tenere in ordine la casa, provvedere alla spesa e cucinare le lasagne. Se la cava bene anche con gli arrosti.
9. Gestisce i profili social in totale autonomia (Instagram: @biancabalti, Twitter: @Bianchina_Balti, Facebook: Bianca Balti), nonostante l’aiutasse una persona fino a un po’ di tempo fa. Commenta i commenti, i più cattivi la fanno stare male. Si definisce un’utente «emotivamente attiva».
10. Non disdegna i selfie in cui mostra il fisico atletico, asciutto, tonico come non mai. Dice: «Ho preso venti chili durante la gravidanza (di Mia, la secondogenita, avuta dal compagno americano Matthew McRae, ndr). Venti, capito? Ho temuto di non ritrovare la mia forma fisica perfetta. Sono entrata nella testa di chi vive perennemente lottando con il proprio corpo. Oltretutto, non sapevo da che parte cominciare: da sempre appartengo alla categoria delle fortunate, di quelle che possono contare su una “base” molto buona. Morale: ho iniziato a lavorare sodo in palestra, due volte al giorno. Mi sono sentita forte, fiera di me. Ecco, perché ho deciso di condividere i risultati sui social network. E poco importa quando le persone mi domandano, con una certa malizia: “Scusa, ma non eri contenta delle curve post-parto?”. Certo che ero contenta. Ma adesso sono soddisfatta: dell’impegno, della dedizione, della fatica… delle ore di training a cui non mi sono sottratta. Mi dico: “Brava, Bianca!”».
Nel grande circus del rock è considerato all’unanimità uno dei talenti più eleganti, più glam. E c’è da scommettere che sul palco del nuovo tour d’autunno Scriverò il tuo nome – Live, Francesco Renga, 48 anni, ci stupirà anche in fatto di look. Quanto alla performance, anticipa a Glamour, sul numero di settembre (pag. 185), che «i fan diventeranno parte attiva, veri protagonisti. Sto preparando uno spettacolo, con i ritmi e le coreografie di uno show. Sono finiti i tempi del concerto-e-basta». Continua: «Bisogna ripensarsi. Adesso che le persone si sono abituate a parecchi stimoli visivi, il tour inteso come una band che si limita a portare in giro delle canzoni non ha ragione di esistere. E poi, basta esibizioni troppo lunghe: due ore, massimo due ore e un quarto».
In attesa di apprezzare il cantautore udinese nei palasport (data zero: il 13 ottobre, al Palasavelli di Porto San Giorgio, Fermo; tappa numero 1: il 15/10 al Mediolanum Forum di Assago, Milano; a seguire Padova, Roma e Bari), ecco la sua personalissima playlist, tra pezzi cult del passato, note del presente e sogni in musica per il futuro.
Il brano di Francesco Renga preferito da Francesco Renga.
«In questo momento Il bene». Il tuo verso più bello, quello a cui sei particolarmente affezionato.
«Gli schiaffi di una madre / Le prediche di un padre / Le uniche due stelle in questo cielo di cazzate (da Sulla pelle, ndr)». La canzone che hai scritto in meno tempo.
«Angelo: è arrivata di getto, quasi senza che me ne rendessi conto, roba di una notte. Stesso discorso per Ancora lei». Una che ti ha stufato, che ti è venuta a noia.
«Meravigliosa (la Luna)». La hit di un collega che ti piace parecchio e che avresti voluto comporre tu.
«Ancora tu di Lucio Battisti». Il pezzo che ti riporta bambino.
«L’immensità di Don Backy». Il brano che associ alle delusioni d’amore dell’adolescenza.
«Non saprei: non mi ha mai deluso, l’amore». Il primissimo disco che hai comprato.
«Zerofobia di Renato Zero». La featuring che sogni.
«Bono». La canzone di un esordiente che ti ha fatto di credere in lui.
«Amen di Francesco Gabbani, che è fra gli autori del mio ultimo album Scriverò il tuo nome».
Ps.
La hit di Francesco Renga preferita dalla redazione? L’amore sa da Scriverò il tuo nome.
Qual è la vostra?
>> LEGGETE L’INTERVISTA COMPLETA A PAG. 185 DI GLAMOUR SETTEMBRE.
Giovanni Gastel e un suo scatto realizzato a Cernobbio (CO) nel 2008.
La prima volta che mi sono vista con gli occhi di Giovanni Gastel, stampata su un ritratto realizzato nel suo studio, mi sono sentita sorprendentemente elegante, senza tempo. Lui, fotografo di fama internazionale, gentiluomo d’animo e d’aspetto, firma ricorrente di Glamour, era divertito dal mio essere meravigliata. Ma, sotto sotto, un po’ deluso. «Davanti ai miei scatti avverto sempre una leggera insoddisfazione», dice sincero. «Coltivo con rigore l’incontentabilità. E mi gioco la vita in ogni clic. Da 40 anni». Li sta per ripercorrere tutti, questi 40 anni di carriera, in una grande mostra antologica, a Milano, a Palazzo della Ragione dal 23 settembre al 13 novembre: Quarant’anni di storia e immagini, appunto. È curata da Germano Celant, storico dell’arte; l’allestimento è firmato Piero Lissoni, architetto e designer. >>Trovate sezioni e contenuti della sontuosa rassegna a pag. 167 del numero di settembre.
Quali immagini esposte credi ti emozioneranno di più?
«Quelle che risalgono all’inizio degli Ottanta, quando sono saltato a pie’ pari dalla serie C alla A, dai cataloghi di minuterie metalliche e fibbie di scarpe alle riviste cult, dai matrimoni e i duplicati dei documenti a Vogue Italia, Donna ed Elle. A onor del vero, su Elle usavo lo pseudonimo: Sergente García, perché Oliviero (Toscani, ndr) aveva scelto Zorro». Possiamo aspettarci sorprese, oltre a delle splendide fotografie, in Quarant’anni di storia e immagini?
«Potete aspettarvi assaggi del mio universo, e parecchio materiale che lo contestualizza: macchine fotografiche, i primi lavori nello studio-cantina in via Mascagni a Milano, filmati capaci di spiegare il mood di quei periodi, ritratti di famiglia… Sì, perché le mie origini sono un po’ eccezionali: la mamma Ida è una Visconti di Modrone e nipote dell’industriale farmaceutico Carlo Erba; mio zio era Luchino Visconti. Io sono cresciuto nel bello, in posti pazzeschi che però mi tagliavano fuori dal mondo». Un ambiente così, chiuso eppure affascinante, dove l’arte si respira fin da piccoli, ha condizionato le tue scelte professionali?
«Eppure, non le ha facilitate. Certo, ero un figlio di papà, ma non per questo viziato. Nel momento in cui ho trovato la mia strada (e ho capito che non mi sarei iscritto all’università), mio padre mi ha regalato un pettine e uno specchio: “Il cliente potrà darsi una sistemata prima dello scatto, visto che sei destinato a fare fototessere per sempre”, mi ha detto. Caustico. Terribile. Ironico. Mi ha tagliato i fondi. Ricordo di essere uscito dal suo ufficio ancora più convinto di ciò che sarei diventato: non potevo dargliela vinta». Ci sei mai tornato nello studio-cantina in via Mascagni?
«No, ma lo sogno spesso». Come si coltiva l’incontentabilità per 40 anni?
«Non mi fermo mai alla prima idea. Lavoro costantemente sulla diversità, sull’unicità, sulla variazione della norma. Non è che non ci siano stati momenti difficilissimi. Il più difficile: quando lo slancio generazionale è finito. E finisce sempre: a 20 anni sei trendy proprio perché hai 20 anni e sei portavoce di un’estetica originale, innovativa. A 30, devi confrontarti con una nuova generazione e la sua fresca visione del mondo. Allora lì decidi se fare l’eterno ragazzino o puntare all’autorialità». Che cosa continui ad amare di questo mestiere?
«Non nasco fondista, bensì scattista. E la fotografia, come il tennis e altri sport, si basa sugli scatti, nel senso di slanci, di sprint, di volate». E di clic: il primo, in assoluto?
«Due uccelli in volo sopra l’Egitto contro un cielo completamente bianco. Però, il giorno 1 della mia vita da professionista è un altro e lo ricordo bene: un ragazzo di Como mi ha chiesto di ritrarlo e – inaspettatamente – mi ha pagato. Quanto? Ventimila lire. Ero incredulo: qualcuno mi dava davvero dei soldi per qualcosa che portava la mia firma? Temevo ci fosse dietro lo zampino di mia madre. Avevo così poca stima nel mio prodotto…». Chi stimavi, allora?
«A 10/12 anni, sfogliando Bazaar e i Vogue americani della mamma, mi è preso un colpo: ho scoperto la bellezza, l’armonia e l’eleganza del passato riproposte in chiave moderna da Irving Penn e Richard Avedon. Ecco, io mi sento figlio loro. Forse, più di Penn che di Avedon: come lui ho cercato la completezza, la versatilità, passando dagli still-life ai ritratti, dalla moda alla bellezza, dai bambini ai paesaggi. All’inizio, pensavo che quei grandi maestri fossero stati toccati dalla grazia». Che Penn fosse nato Penn, che Avedono fosse nato Avedon?
«Esatto. Invece no: la fotografia è un percorso. Primo step: tanti scatti di merda – così, senza mezzi termini -, poi un po’ meno e via dicendo. Guarda che erano davvero lontani dal confine del gusto, male illuminati. Eppure, sono gli unici lavori che vado a riguardare e che mostro ai giovani intenzionati a seguire le mie orme: dimostrano che bisogna studiare sodo, costringere lo strumento a fare quello per cui NON è stato fatto». Mai pentito di essere stato un “autodidatta puro”, né di aver frequentato una scuola di fotografia?
«Per carità! Il che non significa che sia contrario ai corsi di formazione, purché durino il giusto e svolgano la loro funzione, ovvero insegnare la tecnica. Tutto il resto è frutto di un’ossessione gioiosa per il mestiere». Prima hai cavalcato l’analogico nel suo modo più estremo, poi hai trovato la magia nel digitale.
«Si chiama post-produzione: prendere l’originale e trasformarlo, con la meravigliosa possibilità di tornare indietro. Anni e anni alle prese con l’universo dei banchi ottici, le lastre, le Polaroid, per cui le singole scelte venivano operate a priori, e all’improvviso il 50 per cento del lavoro si concentra dopo il clic, che diventa un po’ come il disegno preparatorio del pittore: il quadro, l’immagine finale è un’altra cosa». Esiste un’etica del ritocco?
«Non è quello che ti fa di gomma». Esiste un soggetto facile?
«Penso alle grandi modelle Shalom e Linda Evangelista, camaleonti capaci di trasformarsi in ciò che è richiesto, tele perfette, accessori preziosi che esaltano gli abiti». Nessuna top ti ha mai fatto arrossire?
«Ma senti, forse, quando ho avuto davanti all’obiettivo Naomi Campbell nuda, mi sono detto: “Pazzesca!”». Ti diverte scattare con lo smartphone?
«Amo scattare con ogni mezzo. Come presidente dell’Afip (Associazione Fotografi Professionisti, ndr) sottolineo spesso che, grazie all’iPhone and Co., la fotografia si è elevata a linguaggio, che il mondo intero può parlare: evviva!». Tu parli anche il linguaggio della poesia.
«Scrivo parecchio ed è un meccanismo strano: avverto un malessere che svanisce solo nel momento in cui i versi sono nero su bianco. È il mio modo di lasciare spazio alla parte oscura, a demoni e paure. A breve uscirà una nuova edizione dell’autobiografia Un eterno istante (Mondadori): in allegato c’è un piccolo libro con 70 componimenti». Il futuro è un’immagine a colori o in bianco e nero?
«Sono un colorista convinto. La prova provata: la mia produzione, che per il 90 per cento è a colori, appunto. Non che abbia qualcosa contro il bianco e nero, però l’ho sempre considerato una scorciatoia, fin da ragazzo. Mi spiego: per me la fotografia è pantomima, teatro; non ha alcun legame con la realtà. Quest’ultima è movimento e, ogni volta che aziono l’otturatore, scelgo di fermarlo con un atto di forza. Il bianco e nero lo fa al posto mio: troppo comodo. E poi, cercare sfumature personalissime è stimolante». Qui e ora, la sfumatura della tua vita?
«Una tonalità di rosso che allude a quello delle sedie del Teatro alla Scala di Milano».
L’ultimo glorioso concerto dei Queen e il primo numero di Dylan Dog. La nascita di Lady Gaga, di Robert Pattinson e di Irina Shayk.
C’è chi dice che il mondo dello spettacolo sia in debito, con il 1986. C’è chi dice che Tom Cruise non sia da meno. Trent’anni fa esatti diventava per sempre il tenente Pete “Maverick” Mitchell, il pilota più stiloso della Marina degli Stati Uniti, con gli occhiali Ray-Ban a goccia e il giaccone G-1 in pelle (con collo in montone). Ovvero, il protagonista dell’inossidabile cult Top Gun.
Quante volte l’avete visto da quel 25 settembre, giorno in cui usciva nelle sale italiane? Se siete Millenials della prima ora o giù di lì, il film di Tony Scott se la gioca con Dirty Dancing e Pretty Woman, vero? Per chi ha già salutato con gioia gli “anta”, invece, potrebbe vincere al fotofinish contro Io e Annie. E voi, neoventenni? Rispondete all’appello. Qualora non risultasse nel vostro “cahier du cinéma”, l’occasione per rimediare è presto servita: il 26, 27 e 28 settembre Top Gun torna sul grande schermo. E siccome ci torna spolverato e in 3D, tutto nuovo ma old style, anche i fan più sfegatati (alla quindicesima visione come minimo) stanno già prenotando il biglietto su www.stardust.it/eventi.
Lo confesso, faccio parte della tribù. E qui vi do 8 motivi per inserire l’action movie nella classifica degli indimenticabili & senza tempo.
1. DONNE D’AZIONE
Un militare bello e dannato (con la passione per le moto “cattive” e il beach volley). Un aereo
TOMCAT, per la precisione il Grunmann F-14, a misura di manovre da combattimento ardite. Un nemico, più d’uno, da abbattere. Così, sulla carta, pure Top Gun potrebbe essere archiviato tra quei film muscolari, testosteronici, alla Arnold Schwarzenegger e Sylvester Stallone. E invece, ha slanci iper-romantici. Sissignore! È, prima di ogni cosa, una storia di amicizia e di coraggio. Che il pubblico femminile apprezza. E continua a cercare, con fatica: di action movie davvero unisex non se ne trovano poi tanti in giro. A meno che il protagonista non sia Keanu Reeves o Jason Statham.
2. CITAZIONI A PROVA DI CINEFILI DOC
Nel 2005 l’American Film Institute fa un sondaggio per comporre l’AFI’s 100 Years… 100 Movie Quotes. Si aggiudica il 94esimo posto la battuta di Maverick “Sento il bisogno, il bisogno di velocità” (in versione originale ha indubbiamente più appeal: “I feel the need, the need for speed”, ma tant’è). Da usare per colpire al cuore i cultori della materia, insieme a:
– “È un’informazione riservata, potrei dirgliela ma poi dovrei ucciderla” (so hot);
– “Troppo rischioso? Io, quando voglio qualcosa, cerco di averla comunque” (so determined);
– “Se si fida di me il governo, può fidarsi anche lei!” (so powerful).
3. SUONALA ANCORA, GIORGIO (E TOGLIMI IL RESPIRO)
Giorgio sta per Giorgio Moroder, dj, produttore italiano tra i più famosi all’estero, mago delle colonne sonore. Porta la sua firma quella di Flashdance (ed è subito What a Feeling / Bein’s believin’ / I can have it all, now I’m dancing for my life / Take your passion / And make it happen…), di American Gigolò, Scarface, La storia infinita (con l’aiuto di Klaus Doldinger)… E di Top Gun. Lui, e Tom Whitlock, scelsero la sensuale Take My Breath Away (letteralmente “toglimi il respiro”) cantata dal gruppo new wave dei Berlin. Ai tempi, la ballata valse loro un Oscar e un Golden Globe; ascoltata qui e ora, dimostra di portare da Dio i suoi trent’anni, come le hit dei Queen e i pezzi trip-hop di Sade. I-n-t-r-a-m-o-n-t-a-b-i-l-i.
4. CANTALA ANCORA, TOM
Se vi chiedo di pensare al protagonista di un film – belloccio -, che intoni a cappella una dichiarazione d’amore, chi vi viene in mente? Musical esclusi, s’intende. Rupert Everett, che gorgheggia I Say A Little Prayer di Aretha Franklin ne Il matrimonio del mio migliore amico, oppure Tom Cruise che improvvisa (si fa per dire) You’ve Lost That Loving Feeling dei The Righteous Brothers in Top Gun, facendo cadere ai suoi piedi una biondissima Kelly McGillis? 5. PUNTA IN ALTO, TOM
La vera dura verità: tutto si può dire di Cruise, tranne che sia un marcantonio. Se Leonardo DiCaprio supera il metro e ottanta e Chris Hemsworth addirittura il metro e novanta, lui arriva al metro e settanta risicato. Ma in Top Gun Tom è alto, o almeno così sembra, più che in ogni altro film. Il trucco c’è, ovvio: in scena, accanto alla partner Kelly McGillis (1 metro e 78 sulla carta d’identità), saliva sempre su un rialzo.
6. SEQUEL (O REMAKE): MEGLIO TARDI CHE MAI
La storia del cinema insegna: i nuovi capitoli dei veri cult si fanno aspettare non poco, arrivano dopo anni e anni di silenzio. Nemmeno ci fosse una regola non scritta per cui il valore di un lavoro è direttamente proporzionale ai tempi di attesa di seguiti e simili.
Per chi non ci credesse:
– 13 anni tra Alla ricerca di Nemo (2003) e Alla ricerca di Dory (2016);
– 15 anni tra Il diario di Bridget Jones (2001) e Bridget Jones’s Baby (2016); 12 tra Che Pasticcio, Bridget Jones! (2004) e Bridget Jones’s Baby (2016);
– 20 anni tra Indipendence Day (1996) e Independence Day: Rigenerazione (2016);
– 21 anni tra Trainspotting (1996) e T2: Trainspotting (nelle sale nel 2017);
– 24 anni tra Point Break (1991) e Point Break (2015);
– 35 anni tra Blade Runner (1982) e Untitled Blade Runner Project (nelle sale nel 2017);
– 41 anni tra Easy Rider (1969) e Easy Rider: The Ride Back (2012);
– 54 anni tra Mary Poppins (1964) e Mary Poppins Returns (nelle sale nel 2018).
Se tutto procede bene, non manca molto al secondo round di Top Gun. È di pochi mesi fa la notizia che Tom Cruise tornerà nei panni dell’eroe della Marina (e Val Kilmner nel ruolo di Iceman). Noi fan autentici siamo pronti dal 2012: all’epoca la produzione si era fermata per il suicidio del regista Tony Scott.
7. VEDI ANCHE…
Ah, quanti film hanno copiato Top Gun! Non intendo fedeli parodie e spoof movie alla Hot Shots!, con l’attore Charlie Sheen che fa il verso a Tom Cruise-Maverick. No, no. Io parlo di facsimile che hanno un debito verso la pellicola di Tony Scott, perché riproposta in versioni non sempre originali e personali. Qualche esempio recente? Behind Enemy Lines – Dietro le linee nemiche, 2001, interpretato da Owen Wilson e Gene Hackman; Battleship, 2012: nel cast figura la popstar Rihanna.
8. E GRAZIE DEGLI OCCHIALI
Il tubino nero che fa subito Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany (1961) e il vestito bianco Sharon Stone in Basic Instinct (1992). Il costume rosso che fa subito guardaspiaggia di Baywatch e i Ray-Ban a goccia, gli Aviator, Tom Cruise in Top Gun. Ci sono capi di abbigliamento e accessori che devono la loro fama alle produzioni hollywoodiane. Parecchi diventano iconici, ma restano lì nell’armadio. Alcuni resistono strenuamente alle mode. Di anno in anno vengono riproposti, senza perdere il fascino della provenienza cinematografica. E poco importa che, sfoggiati da certi attori, facciano tutta un’altra figura.
«One I never over-dressed or underdressed with a little black dress». Karl Lagerfeld
Poche storie: dici iPhone 7 e pensi al modello jet black. Non me ne vogliano le altre texture (argento, oro, oro rosa e corvino opaco), però la nuova generazione del melafonino è il colore della notte, puro e uniforme. E quando dici nero, non c’è donna che non pensi al tubino di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. Sì, magari qualcuna immagina un paio di décolleté con stiletto sexy o un capo di lingerie tanto prezioso quanto irresistibile. Ma la stragrande maggioranza riesce a visualizzare l’attrice nei panni di Holly fasciata in un little black dress firmato Givenchy. Di una semplicità assoluta, di un’eleganza senza tempo. Impeccabile sempre.
Ecco, avere fra le mani l’ultimo smartphone di casa Apple è un po’ come infilarsi il must have di ogni guardaroba. Del resto, device e abito hanno parecchie affinità, oltre al fatto che si abbinano alla perfezione.
Il primo punto in comune? Si dice capacità di distinguersi, si legge chic.
Qui i lati più chic dell’iPhone 7 (e della versione Plus).
1. L’ELEGANZA È UN’IDEA SEMPLICE
Parole sante! Di Inès de la Fressange, modella e stilista francese. Aggiunge Valentino: “L’eleganza è l’equilibrio tra proporzioni, emozione e sorpresa”. Ecco, i nuovi melafonini, con display da 4,7” e 5,5” (il modello Plus), sono un sapiente mix di piccole sorprese e grandi emozioni. A partire dal guscio jet black, liscio al tatto, lucidissimo, essenziale (diventano quasi invisibili le bande in plastica sul retro per la ricezione del segnale dell’antenna, che ora alloggiano lungo i bordi della scocca). Con un non so che di rigoroso e austero-attraente, alla maniera della donna Marni e Prada.
Per chi lascia l’iPhone 6/ 6s per il 7, sembra di passare dal pregiato cotone d’Egitto alla preziosa seta.
2. COME ANDY MCDOWELL E HUGH GRANT
Ricordate la scena della commedia british per eccellenza Quattro matrimoni e un funerale (1994) in cui Carrie/Andy McDowell e Charles/Hugh Grant, dopo un tot di cerimonie, riescono a dichiararsi amore reciproco sotto secchiate d’acqua? Semmai qualcuno si sognasse di girare il remake oppure il sequel, molto probabilmente, attualizzerebbe la scena dotando i protagonisti uno smartphone. Water resistant, certo, che è una delle caratteristiche più interessanti dell’iPhone 7. Insomma, lui non è waterproof tipo il mascara, però se ne infischia di schizzi, bicchieri di champagne che si rovesciano, romantiche dichiarazioni sotto la pioggia, telefonate-fiume sotto un Borsalino a falda troppo stretta per ripararvi dal temporale. E addio bagni di riso per asciugare l’umidità! Lui fa spallucce pure alla polvere: la trousse di fard si rompe in borsetta, a un passo dal melafonino? Pas de problème!
3. PIÙ PICCOLO, MA PIÙ LUNGO
Se l’iPhone 6s pesa 143 grammi, il 7 non supera i 138. Quanto al nuovo Plus, sulla bilancia perde quattro grammi netti. E guadagna in “resistenza”: la batteria del modello con display da 4,7” dura due ore in più, quello con schermo da 5,5” regala 60 minuti extra. Non male, visto che sullo smartphone si sta al passo con le puntate di The Affair (via app Sky Go) ed Easy (dall’applicazione di Netflix, dal 22 settembre).
4. MANICURE-SCULTURA? NON TI TEMO
Il tasto Home dell’iPhone 7, il più durevole e il più reattivo di sempre, sembra studiato per le beauty addicted con la fissa per le unghie XL e a stiletto, tipo Joan Crawford negli anni ’30: dimenticate il concetto di pulsante fisico da premere, il “clic” viene simulato al tocco; la risposta tattile è precisa e personalizzabile, grazie al nuovo Taptic Engine.
5. ANIMALI NOTTURNI
Un altro highlight chic del melafonino? La fotocamera da 12 MP, con quattro flash LED combinati insieme, è a misura di scatti by night: ai party, alle cene romantiche, sui red carpet dal tramonto in poi, ai matrimoni al chiaro di luna… Senza contare che il sistema di stabilizzazione ottica è stato riprogettato per ridurre le sfocature dovute a soggetti mossi o a una presa poco ferma (ah, gli scherzi dell’emozione!).
Anche i selfie fanno un salto di qualità: la videocamera frontale FaceTime HD da 7 MP non ha solo una risoluzione maggiore, ma cattura le immagini con una gamma cromatica più ampia. Risultato: gli autoscatti paiono davvero nitidi, molto brillanti. E la tonalità della pelle sembra più naturale: merito del Retina Flash, che si adegua alla luce dell’ambiente per restituire grana e texture a prova di make-up artist.
6. PASSIONE BIJOUX
Ormai lo sanno pure i muri: l’uscita mini-jack dei classici auricolari con il filo è magicamente sparita dall’iPhone 7. Le cuffie condividono l’ingresso con il caricabatterie. Perché, presto, a ottobre, vorremo tutti gli AirPods: wireless, intelligenti, dal design minimal-chic, superlight (quattro grammi l’uno). Per usarli, è sufficiente toglierli dalla custodia, in cui si ricaricano: una volta indossati la musica parte ed è facile confonderli per degli orecchini; appena si tolgono, entrano in pausa.
Sono compatibili con tutti i device e gli smartphone Apple (a partire dal 5). Però, gli “Androidiani” non si sentano discriminati: gli AirPods funzionano anche per loro. Costo: 179 euro.
Kasia Smutniak è una donna che va presa al volo, mentre fa i bagagli, una zona franca tra l’ennesimo ritorno e un’altra partenza. L’attrice, 37 anni appena compiuti, fra le più belle e le più intense della sua generazione, arriva da un impegno in Puglia e sta per «sparire», dice, «in Nepal, nel cuore del Mustang, l’ultimo vero Tibet, per inaugurare la scuola costruita con i fondi della Pietro Taricone onlus», creata nel 2011 in memoria del compagno scomparso.
In un caldo sabato pomeriggio, Kasia parla via Skype dalla sua casa a Formello, nella campagna a un’ora scarsa dalla capitale, dove il cellulare prende pochissimo e la connessione Wi-Fi può essere capricciosa. «Aspetta che attivo la webcam… Eccoti, eccomi!». Capelli raccolti in una semplice coda di cavallo, viso luminoso acqua e sapone, canotta nera. Dall’interno dell’abitazione si sposta in quello che ha tutta l’aria di essere un patio; in sottofondo, il canto delle cicale. Si lascia cadere su una sedia. La sua quiete dura meno di un attimo. Si alza, mi abbandona davanti allo schermo vuoto per cercare qualcosa. Ricompare per chiacchierare fino alla fine, con calma, intelligenza, una certa cautela e sorrisi veri. Il primo che le attraversa il volto è dedicato al servizio fotografico di queste pagine, realizzato giorni addietro a Milano, negli spazi di NonostanteMarras, il concept store dello stilista di Alghero: «Ogni volta che mi capita “un’incursione” nella moda, ritrovo qualcuno con cui ho condiviso momenti piacevoli di shooting passati». Sguardi che stregano l’obiettivo, giochi di gambe, una sistemata alla scollatura. Il tutto con una tale naturalezza. Averti vista sul set di questa cover story mi ha fatto pensare ai tuoi esordi come modella.
«Ero una ragazzina, una diciassettenne credo. A quei tempi si trattava di una carriera ancora più breve di oggi: quattro anni, forse tre. Oddio, non me lo ricordo. Però, se eri sveglia e avevi capacità di osservazione, ne traevi il meglio: visitavi mezzo mondo, ti concedevi full immersion in culture lontane e imparavi le lingue». Tu quante ne parli?
«Quattro: la mia d’origine ovvero il polacco, l’italiano, l’inglese e il russo». Dagli stilisti top e dalle pubblicità-tormentone – leggi Tim – ai film scelti con cura, un bravo regista via l’altro, tra i quali Luc Besson, Carlo Mazzacurati, Ferzan Özpetek.
«Invece da piccola sognavo per me cose diverse, cose grandi, ambiziose: diventare astronauta oppure la donna numero 1 che sbarca sulla luna, o una ricercatrice che scopre una particella fondamentale e così salva vite umane». I tuoi genitori che cosa sognavano per te?
«Per molto tempo hanno sperato che tornassi sulla retta via, che riprendessi gli studi e trovassi un mestiere serio. Un padre nell’aeronautica, un’infanzia nelle basi militari della Polonia, gli amici di famiglia e i figli degli amici di famiglia anche loro appartenenti a quel contesto: insomma, non era certo un ambiente dove si frequentavano gli artisti. Per i miei genitori, io ho preferito la strada facile, anzi, facilissima. Soltanto con gli anni si sono ricreduti. Hanno visto la quantità di impegno che serve per lavorare nel mondo dello spettacolo. Sì, impegno e tempra, e parecchia disciplina, e altrettanta testa per gestire ciò che ti succede, scegliere le persone di cui fidarti e a cui affidarti, prendere le decisioni giuste per te».
>> LEGGETE TUTTA L’INTERVISTA A PAG. 189 DI GLAMOUR OTTOBRE.
Fashion Film Festival Milano: dal corto SEEN by Margot Bowman
Sì, la moda e i corti si piacciono. Da un po’ di tempo ormai. Perché raccontare le maison del lusso (ma non solo) in video di pochi minuti è possibile e funziona. La prova provata: le migliaia e migliaia e migliaia di visualizzazioni che il genere conquista su YouTube. Un esempio: Castello Cavalcanti, che il regista-mito dei Tenenbaum Wes Anderson ha realizzato per Prada nel 2013, sfiora il milione di like. Se ve lo foste perso, non disperate e godetevelo qui.
Per celebrare questa liaison creativa, Glamour rende omaggio all’ultimo microfilm d’autore realizzato per un brand che conosciamo tutte: Twinset. S’intitola Per sempre e porta la firma di Paolo Genovese, reduce dal successo dell’anno Perfetti sconosciuti. A pag. 223 del numero di ottobre, una delle protagoniste – Giulia Bevilacqua – vi porta praticamente sul set.
E se dopo aver letto l’intervista, siete colte da una voglia irrefrenabile di clip che nascono dall’incontro di direttori artistici illuminati e marchi attenti alla sperimentazione, rallegratevi: sta per cominciare la terza edizione del Fashion Film Festival Milano, la rassegna internazionale che dà voce alla moda nel più contemporaneo dei linguaggi possibili: quello dei corti, appunto. Quando: dal 24 al 26 settembre. Dove: all’Anteo spazioCinema (via Milazzo 9). Cosa: 180 fashion short film selezionati tra oltre 750 opere da più di 50 Paesi. Registi affermati ed emergenti, grandi nomi del lusso italiano e giovani designer. Chi: fondata e diretta da Costanza Cavalli Etro, la manifestazione ha il supporto di Mercedes-Benz e il patrocinio del Comune di Milano e della Camera Nazionale della Moda Italiana. Perché: ci sono almeno 10 motivi per non perdersi la tre-giorni. 1.
L’ingresso è free. Basta registrarsi sul sito fashionfilmfestivalmilano.com/it. 2.
Vedere la regina di Vogue America Anna Wintour, il suo caschetto impeccabile e l’attrice del momento Alicia Vikander (già, la svedese che sta con l’adorabile collega stropicciato Michael Fassbender) recitare insieme in The magic diner di Niclas Larsson. 3.
Realizzare (con piacere) che la giovane diva Elle Fanning sa tornare semplice ragazzina in It was all a dream di Steven Brahms. 4.
Assistere all’anteprima del documentario Anna Piaggi: Una visionaria della moda, scritto e diretto da Alina Marazzi. A quattro anni dalla scomparsa di una delle penne più importanti del fashion system internazionale, la regista milanese mette davanti alla macchina da presa la pronipote Galatea e gli amici di una vita: Manolo Blanhik, Jean-Charles de Castelbajac, Stephen Jones, Rosita Missoni… e lascia loro raccontare Anna-personaggio e Anna-persona.
Segnate in agenda: 24 settembre, ore 21, sala “400”. 5. Trovarsi la top model Karlie Kloss distesa sul tavolo da lavoro di un maestro artigiano Tod’s, nel ruolo di protagonista della performance video VB Handmade della superartista Vanessa Beecroft . 6.
(Ri)scoprire i fashion film sperimentali degli anni Sessanta e Settanta, ovvero i tesori di Bruno Munari (che – tra l’altro – sembrano modernissimi), di Ugo Nespolo e di Mario Schifano. Fanno parte della “sottorassegna” Body&Garment, in collaborazione con la Cineteca Nazionale. 7.
Arricchirsi ai dibattiti sul legame tra moda e mondo digitale. Accanto alle proiezioni, nella sala 200, s’incontrano personalità del mondo dell’entertainment, dell’arte, della cultura e del design.
Il talk più glamour: Women in film, domenica 25 alle 15, con Emanuela Martini, direttrice del Torino Film Festival, e la regista Alina Marazzi.
Il più divertente: Fashion in radio, lunedì 26 alle 14.30, con La Pina e Nicoletta Morozzi, direttrice dell’Area di Fashion Design presso NABA. 8.
Rendersi conto di come 10 top brand italiani vengono percepiti (e interpretati) dai millennials, grazie al momento Through My Eyes. 9.
Votare i vincitori (o le vincitrici) di 14 categorie, raccolte in due sezioni: Established Talent (Telenti Affermati) & New Talent (Nuovi Talenti). A partire dal 27 settembre. 10.
Rivedere i corti preferiti su dplay.com, servizio gratuito di Discovery Italia. Fino al 10 ottobre, avete a disposizione gli short film in concorso quest’anno, oltre 50 delle precedenti edizioni e contenuti inediti, tra cui la produzione originale FFFMilano Tribe: Costanza Cavalli Etro a tu per tu con gli influencers del mondo della moda.
Diecimila. 10.000. Tantissime, sia scritto in parola sia in numero. Sono le lettrici che, da tutta Italia, hanno affollato la due giorni del Glamour Beauty Show, il primo grande evento dedicato alla bellezza a 360 gradi organizzato da Glamour, che si è tenuto venerdì 21 e sabato 22 ottobre al Superstudio Più di Milano.
Diecimila. 10.000. Tantissime si sono divertite e fatte belle affidandosi ai maghi del make-up e dell’hair styling, hanno curiosato e assaggiato i nuovi trend proposti negli otto padiglioni dell’area dedicata ai brand del mondo beauty: Bionike, Chanel, Dior, Lancôme, Mac, Phyto, Shiseido, Zadig & Voltaire.
Hanno guardato il futuro nelle proposte di 11 start-up innovative.
Hanno visto il giornale nascere in diretta, assistendo agli shooting live di 4 fotografi del nostro entourage: Cosimo Buccolieri, Massimo Ferrari, Mario Gomez, Fabrizio Turrà.
Hanno partecipato a una sessione di traning esclusiva firmata Nike.
Hanno condiviso i momenti più significativi sui social network con l’hashtag #glamourbeautyshow, per un totale di 25.000 mila interazioni all’ora.
Diecimila. 10.000. Senza contare le 300.000 persone collegate a Facebook e Instagram Stories per la diretta streaming. Più che tantissime hanno assistito ai 18 talk di artisti, studiosi, campioni, geni del marketing, top model e top chef, donne e uomini eccezionali. Con una verità, vera, intensa, che può anche commuovere: la Bellezza è energia.
La Bellezza è Bebe Vio, incredibile eroina paraolimpica, che dice alla giornalista Nina Verdelli: «La vita è proprio una figata! Datevi da fare: trovate qualcosa che vi piace sul serio, ponetevi un obiettivo e portatelo a termine, altrimenti come potrete mai essere felici?».
La Bellezza è Carol Alt, attrice e top model cult degli anni Ottanta, che parla di alimentazione come la più professorale delle icone e la più iconica delle professoresse.
La Bellezza è Jetsun Pema, sorella di Sua Santità il Dalai Lama e dal 1964 responsabile del Villaggio dei bambini orfani del Tibet, che spiega una filosofia semplice e schietta, fatta di pochi gesti che coniugano etica ed estetica, perché «non c’è miglior anti-aging che aiutare il prossimo». E in effetti, la sua pelle è quella di una ragazzina. Ai suoi piedi, la conduttrice Paola Maugeri, autentico motore di ogni talk.
La Bellezza è Lea T, prima modella transessuale che, in un dialogo commosso con la sottoscritta, lancia un messaggio forte: «Siamo le persone meno integrate: è difficile che ci venga dato un lavoro. Non esiste la compassione per noi. Pensate: solo in Brasile una transessuale al giorno muore per violenza».
Ancora: la giovane star della serie Disney Alex and Co.Beatrice Vendramin che, letteralmente assediata dai fan, racconta i gusti della Generazione Z, e il filosofo Franco Bolelli che discetta sul carattere della vera Bellezza, quella che sa crescere ogni giorno – incurante del tempo – grazie agli amori che non finiscono mai.
Per finire con gli attori Alessandro Preziosi e Lella Costa, che leggono poesie o ironizzano sulla avventura umana delle apparenze.
È vero, da questa prima fotografia mancano alcuni nomi che hanno reso animato, vivo, divertente, interessante e intelligente la nostra manifestazione. Qualcuno lo trovate già nella gallery. Per gli altri, appuntamento a presto. Perché il Glamour Beauty Show continua.
Confesso la mia colpa. Fino all’altro ieri, ero una donna che non si era mai curata delle unghie. E quando dico mai, intendo nemmeno al mio matrimonio: smalto trasparente senza pretese fai-da-me e via all’altare. Amiche e colleghe di redazione non ci potevano credere.
Poi, è successo il miracolo: dopo essere passata davanti a una delle tante nail spa per l’ennessima volta, ho pensato: «Ma perché non provare?». Così, lasciando ragionare istinto e curiosità, sono entrata e ho chiesto timida il trattamento mani e piedi (non semipermanente, mi raccomando!). Eccomi lì: una dilettante della manicure orientale allo sbaraglio, spaesata come ai saldi da Westfield Stratford City a Londra, inchiodata alla poltrona che profuma di sgrassatore universale di Marsiglia nemmeno fosse quella del dentista, in attesa di una parola di conforto da parte della mia nail artistist (parola che non arriva).
Da allora, non c’è quasi più spazio per nuovi timbri sulla mia tessera fedeltà: sto per raggiungere il record personale di dieci sedute e di unghie impeccabili non-stop. Perché la signorina Shui Meng o solo Shui (no, forse, Shun! Abbiate pazienza) è brava. Bravissima. Però, a questo punto del nostro rapporto, che si è fatto serio, velocità e precisione non mi bastano: io voglio anche altro. Ed è tempo che dica ciò che sento dentro.
Cara Shui Meng o solo Shui (no, forse, Shun!),
sono un tipo fedele, te ne sarai accorta: ti lascio rimuovere lo smalto che soltanto tu mi applichi. Sono pure un tipo che non resta sulle sue: ti chiedo sempre come stai, se devo togliermi gli anelli, che tipo di naunce nuove hai da proporre… Allora, comprendo e apprezzo la tua efficienza quasi militaresca, ma una moina in più concedimela! E, ogni tanto, alza lo sguardo e incrocia il mio, così da farmi capire che c’è intesa vera.
Quando brancolo nell’incertezza del colore o, come succede spesso, cambio idea e passo dal rosso OPI So Hot To Burn a un Big Apple Red, ti prego, sii un po’ meno brusca: se fosse un gesto per attirare la tua attenzione?
E poi, perché parbleu, dopo avermi pitturata a dovere, ti dimentichi di me? Ti rendi conto che mi abbandoni lì sul divano, con mani e piedi sotto un asciugatore, effetto tappezzeria ai balli scolastici?
Ora, mia cara Shui Meng o solo Shui (no, forse, Shun!), non pretendo lo stesso legame che si era creato tra Olga (Dennie Moore) e Sylvia (Rosalind Russell) in quel capolavoro cinematografico di fine anni Trenta di George Cukor che s’intitola The Women (dal quale è tratta la foto di questo articolo); non ti obbligo ad ascoltare le confidenze a cui è abituato il mio hair stylist. Però, diamine, spettegoliamo almeno un po’: non riesco a credere che tu non sappia di Belen e Iannone!
E va bene, forse non parlerai perfettamente l’italiano, ma come cantava ad Amici di Maria De Filippi Martina Stavolo: “Ci basta solo guardarci… io e te / Non so nascondere / Quel senso che… mi fa la tua voglia di tacere / Senza mai chiarire”.
Non accetto neppure che, sempre tu, non sia curiosa di sapere il motivo per cui porto al dito un anello con il muso di un bulldog francese: adesso giura che non ti interessa?
L’hai capito o no che mi sono affezionata a te?!?
L’hai capito o no che insieme potremmo trascorrere attimi intensi di manicure e pedicure?
Dammi un segno che ti stai sintonizzando sulla mia lunghezza d’onda.
Tua,
Chiara
Vi ricordate la scena dello zaino nella (tragi)commedia Tra le nuvole? Per chi di voi se la fosse persa per strada, qui una veloce rispolverata: George Clooney, nei panni di un esperto tagliatore di teste, in superlavoro per via della crisi economica, fa un bel discorsetto motivazionale sulla necessità di vivere leggeri: nessuna relazione-zavorra in primis, zero ricordi inutili che pesano. Insomma, solo l’essenziale nel bagaglio con cui si attraversa questo mondo, che sia un trolley, una it-bag o uno zaino. Poche, pochissime cose, ma buone e giuste.
A una settimana abbondante dal nostro Glamour Beauty Show, il primo grande evento italiano dedicato alla bellezza a 360 gradi, noi della redazione abbiamo provato a immaginarlo come una borsa o una sacca in cui riporre pochi, pochissimi momenti, ma irrinunciabili. Quelli davvero salienti. Quelli che ci porteremo dietro sempre. Quelli che ci rendono persone migliori. Li trovate qui, in un video breve, light e intenso. Che parte dal talk sincero di un filosofo contemporaneo con un pensiero forte sulla vera bellezza e finisce con una carrellata energetica di sorrisi. I nostri e i vostri.
Buona visione, buone emozioni!
No, non è un caso che gli Have a Glamorous Weekend siano (ri)partiti da Arezzo. La città toscana ha un’anima squisitamente modaiola. E un’infilata di boutique, storiche o appena nate, con il pallino per i marchi deluxe d’avanguardia vera.
Oltre la metà di loro ha aderito al fine settimana di shopping in compagnia di Glamour, che è andato in scena sabato 5 novembre, insieme alla Fiera Antiquaria e a una pioggia battente, che non ha scoraggiato né noi né voi lettrici. Perché il mix collaudato di eventi ad hoc negli store aperti fino a tardi e stylist della redazione a disposizione per consigli di stile, di aperitivi in negozio e selfie con le celebrities, di coccole beauty e di sconti, è irresistibile. Guardare il video sopra e la gallery sotto (se non l’avete ancora fatto) per credere. E dopo, scorrere i 10 momenti più rock della tappa aretina di questa quinta edizione degli #hagw (per i social), che – non a caso – ha come tema proprio rock & music. La colonna sonora ideale per la lettura? Un po’ di Amy Winehouse e un po’ di David Bowie. Gli immortali.
Il taglio del nastro è rock.
Dove: nella splendida cornice medievale di piazza Grande. Chi: il direttore di Glamour Cristina Lucchini, l’Assessore alle Attività Produttive, Turismo e Innovazione del Comune di Arezzo Marcello Comanducci, l’attrice e conduttrice televisiva Natasha Stefanenko con il marito, l’imprenditore Luca Sabbioni, e la figlia Sasha.
Le Polaroid da Liu●Jo sono rock.
Qui abbiamo selezionato i nostri capi preferiti. E, con voi, ci siamo divertite a scattare foto-ricordo vintage. www.liujo.com/it
I boomerang di Cristina Lucchini e Natasha Stefanenko sulla Nuova up! sono rock.
Main partner e presenza fissa degli Have a Glamorous Weekend n°5 è Volkswagen, che festeggia così il lancio della sua city car chic, compatta, connessa. L’auto, esposta in una speciale postazione in piazza San Jacopo, è diventata la protagonista dei video-loop più divertenti realizzati dal direttore e dall’ex modella, che abbiamo caricato sul nostro Instagram Stories (@glamouritalia). Non ve li sarete mica persi?
La presentazione dell’e-commerce di Civette Store è rock.
Un’ex banca, affacciata su piazza San Francesco, che si è rifatta il look in una quindicina di giorni e si è trasformata in un concept dal design minimal chic in cui ospitare abiti e accessori di ricerca, quella estrema, tutti dal mood dark. Per esempio: i capispalla e le borse della stilista Simona Tagliaferri, che ha un lungo passato come consulente per i grandi marchi internazionali. È la sfida di Maria Vittoria Paggini, iniziata a dicembre 2016. Che continua oggi, con lo store online. Per lei gli Have a Glamorous Weekend sono un bel momento per raccontare sul campo la nuova iniziativa virtuale. Definire http://civettestore.com un luxury e-commerce sarebbe riduttivo, perché è una piattaforma ricca di idee dove, oltre all’abbigliamento, è possibile acquistare prodotti di bellezza organici, profumi, spray per gli ambienti… A proposito, conoscete il brand Zenology?
La pausa gelato da Carlo è rock.
Che piova o nevichi, poco importa. Non hanno stagioni il pistacchio, la nocciola e il fondente di Carlo Viti, gelatiere gentile e pluripremiato (per citare un riconoscimento tra tanti: nel 2009 ha vinto l’Oscar del settore con un sorbetto al sedano), che proprio quest’anno ha aperto uno spazio in via Niccolò Aretino. Fa con passione pure centrifughe, servite come fossero cocktail di tendenza, e cornetti vegani dal sapore tutt’altro che vegano.
Simone Guidarelli da Banchelli è rock.
Lui, Simone Guidarelli appunto, è tra i fashion editor di Glamour più amati. La prova provata: su Instagram non ha eguali (@simoneguidarelli). Loro, Alessandro ed Eleonora Banchelli, sono il punto di riferimento della moda aretina da 40 anni. Prima maschile, da marzo 2016 anche femminile con l’inaugurazione della sezione donna all’interno dello store in corso Italia 277. Si sono messi insieme. Il risultato: un’esperienza di shopping unica, con consigli di stile a tutto tondo, accompagnata dal più toscano degli aperitivi: «Vino rosso locale e caldarroste cotte al momento in un chioschetto allestito per l’occasione», spiega Eleonora. «Abbiamo voluto coccolare i clienti affezionati, senza scadere nel solito aperitivo. E abbiamo voluto cavalcare gli Have a Glamorous Weekend perché non hanno precedenti qui: rappresentano un’opportunità per non stare fermi, per farci conoscere a livello nazionale». www.banchelli.it
I brindisi da Damiano Parati sono rock.
Bollicine abbinate a cioccolatini glocal e gioielli che sanno diventare davvero i migliori amici delle donne (Pomellato, Gucci, Locman, Hamilton, Montblanc… per citarne alcuni). Che cosa desiderare di più dalla boutique di riferimento della città? www.damianoparati.it
La festa Sugar a Palazzo Lambardi è rock.
Beppe Angiolini, che gli aretini conoscono meglio come “Beppe di Sugar”, dal nome della sua rete rivoluzionaria di boutique multimarca nella parte alta del Corso, è ex-stylist, attuale presidente onorario della Camera Nazionale Italiana Buyer Moda e grande fan di Glamour. Per noi ha organizzato un cocktail party in una suggestiva dimora del Quattrocento di sua proprietà: Palazzo Lambardi, al cui interno è custodito un mosaico di epoca romana, ritrovato per caso durante la ristrutturazione cominciata dieci anni fa. Che emozione ballare sul pavimento galleggiante in vetro, sulle note di un trio musicale inedito: un deejay, un bassista e un trombettista. Che meraviglia la mostra di abiti dell’archivio Sugar, allestita in collaborazione con Milano Vintage Week. Che divertente provare a fare shopping nella realtà virtuale con il visore 3D HTC Vive. «Ho voluto giocare con i contrasti, con il passato e il futuro», ci dice Beppe Angiolini. «Sono un amante della tradizione che si sa evolvere, dell’eleganza senza tempo, della cultura che abbraccia la modernità. Infatti, presto, entro il 2017, questo spazio ospiterà un multistore all’avanguardia che esplorerà nuove dimensioni grazie a un caffè, un bookshop, un ostello di lusso e persino delle opere d’arte». www.sugar.it
La cena da Le Chiavi d’Oro è rock.
La migliore conclusione di una giornata di shopping diverso, speciale? Un ristorante raffinato ma non snob. Nella centralissima piazza San Francesco, c’è il sogno di tre fratelli che è diventato realtà: rivisitare con stile i piatti tipici. Uno su tutti: la ribollita. Ve la consigliamo. www.ristorantelechiavidoro.it
Last but not least, le prossime due tappe sono rock: a Verona (sabato 12 novembre) e a Catania (il 26/11).
Per scoprire che cosa stanno organizzando i negozi più cool di queste due città in fermento, divertenti e molto pop, continuate a seguirci sul sito dedicato, hagw2016.glamour.it, e sui nostri social, con l’hashtag ufficiale #hagw16.
Riprese e montaggio video: Fabio Landi. Fotografie: Gianluca Carraro.
In principio fu Sex and the City a fare delle borse le coprotagoniste: dalla preziosa Cupcake Bag di Judith Leiber alla grintosa Louis Vuitton Richard Prince Monogram Motard Firebird, dalla scintillante Tour Eiffel Bag di Timmy Woods alla mitica Baguette di Fendi, giusto per citare alcuni modelli memorabili. Dopo, più le serie tv diventavano di moda, più la moda degli accessori si prendeva la scena. Fino a oggi, per cui sembra valere la regola: ogni personaggio femminile che si rispetti deve sfoggiare la sua handbag-feticcio. Così, ci siamo divertite a passare in rassegna le interpreti delle fiction di culto e le loro tracolle o shopper. Le trovate qui e nella gallery sotto.
1. TITOLOHart of Dixie. STAGIONI Quattro, già trasmesse e ritrasmesse. LA PROTAGONISTA Zoe Hart, interpretata da Rachel Bilson (per sempre la Summer di The O.C.). È una dottoressa tutta complicazioni, shorts e tacchi iperdondolanti: non proprio un outfit adatto per esercitare in una località dispersa dell’Alabama, Bluebell (non cercatela su Google Maps). Però, indubbiamente, questo suo look in bilico tra il glamour e il rock risulta essere il più efficace per conquistare Wade-addominali-a-tartaruga-Kinsella, il cui credo si chiama birra e la religione è il bar Rammer Jammer. Non pare vero, eppure i due insieme sanno fare scintille, oh sì. LA CO-PROTAGONISTA Ad accompagnare Zoe c’è spesso lei, la Giant 12 City Oro di Balenciaga color arancione fiamma. Iconica, grintosa, volutamente e decisamente lontana dalla classica doctor bag che ci si aspetta da un medico, è perfetta per la peperina Hart, che preferisce portarla a mano. Quando ha voglia di una borsa dalle dimensioni più contenute, si diverte ad alternare la Red Bow Flap di Valentino e la Flap Bag di Chanel, una piccola Rockstud di Valentino e la Medium Paraty Bag di Chloe. Buon gustaia! LA CITAZIONE CON STILE «Hai deciso di vestirti come un cupcake umano… È una cosa adorabile!». [Wade Kinsella].
2. TITOLOScandal. STAGIONI Cinque. La sesta arriva nel 2017: negli Stati Uniti, sul canale ABC, a partire dal 19 gennaio. A seguire, in Italia. LA PROTAGONISTA Poche storie, Olivia Pope (Kerry Washington) si conferma tra le eroine più toste del piccolo schermo. Avvocato e crisis manager, cintura nera di problem solving, burattinaia della Casa Bianca (ah, come farebbe comodo a Donald Trump!), grande amore del capo degli Stati Uniti d’America. Tradotto: forte, decisa, tutta d’un pezzo e incredibilmente sexy. Per dirla alla Shonda Rhimes – ovvero il genio che ha inventato “Liv” e soci -: “Gladiator in Suit”, cioè chi non si arrende. Continua così, Miss Pope! LA CO-PROTAGONISTA La Prada Galleria in pelle Saffiano, a cui Olivia è più fedele che a Mr. President Fitzgerald Thomas Grant III (Tony Goldwyn). A essere precisi, sembra avere una collezione infinita di modelli della maison italiana, sempre in colori sobri, neutri (dal bianco optical al grigio perla, senza dimenticare il classico nero lucido), che abbina quasi ossessivamente ai paletot sartoriali, ai blazer superfitted e ai tailleur power dressing. Del resto, sono borse – status symbol, perfette per questa donna in carriera. LA CITAZIONE CON STILE «La normalità è sopravvalutata» [Olivia Pope].
3. TITOLOHouse of Cards. STAGIONI Quattro. La quinta è attesa per l’inizio dell’anno prossimo, in esclusiva su Sky Atlantic. LA PROTAGONISTA La signora Claire Underwood, i cui panni – griffatissimi – sono vestiti dalla divina Robin Wright. Gli autori della serie la descrivono così: «Una grande donna con le mani sporche di sangue, dietro a un grande uomo». È first lady e first stronza. Lobbista inside, traditrice quando le va, fredda come un ghiacciolo all’anice. Gli scrupoli non le appartengono, il moralismo neppure. Scomporsi? Mai e poi mai. Rispettare le regole? Anche no! Passare sopra il cadavere di chiunque? Certo che sì. Eppure, ci piace da morire. E già la immaginiamo nello Studio Ovale a dirigere l’America al posto del marito Frank: Go, Claire, goo! Se lui è il raffinato cattivo per cui il fine giustifica sempre i mezzi, lei è un modello da studiare ad Harvard, come Chiara Ferragni. Oltretutto, ha un taglio di capelli che non si può non desiderare. LA CO-PROTAGONISTA La it-bag all’altezza di una con un piglio così? Le Sac du Jour di Saint Laurent: nessun logo in evidenza, ma riconoscibilissima. È l’alternativa deluxe alla borsa da lavoro. E si abbina da Dio ai tailleur aderenti, sagomati, quasi essenziali e volutamente rigorosi. La first lady non disdegna nemmeno il modello Muse Large, sempre della casa di moda francese. LA CITAZIONE CON STILE «Facciamolo soffrire» [Claire Underwood].
4. TITOLOLe regole del delitto perfetto. STAGIONI Due. La terza è già in onda negli Stati Uniti su ABC. Da noi parte il 29 novembre alle 21.50 su Fox (canale 112 di Sky). LA PROTAGONISTA Prendete una brillante avvocata e docente di diritto penale presso una prestigiosa università. Datele un’intelligenza diabolica, competizione à gogo, l’ambiguità nel sangue e il carattere di una leader nata. Costruitele ad arte un passato molto difficile, in modo tale che sia un caterpillar con le fragilità al posto giusto. Lasciate che scopra il tradimento del marito e che occulti il cadavere, dopo l’uccisione a opera dei suoi cinque migliori studenti. Lasciate pure che resti coinvolta in altri di omicidi, segreti, bugie, incesti. Et voilà Annalise Keating/Viola Davis, uno dei personaggi più complessi delle fiction di culto di ultima generazione e con un bel record: è la prima donna di colore a vincere l’Emmy come migliore protagonista in una serie drammatica. LA CO-PROTAGONISTA La Céline Micro Luggage, nera, con le sue inconfondibili nervature e la sua forma svasata. Impeccabilmente sobria, Annalise Keating la posa sulla cattedra o sul banco degli imputati come faceva Miranda Priestly/Meryl Streep ne Il diavolo veste Prada. È l’accessorio con cui si regala un extra touch trendy. LA CITAZIONE CON STILE «Non costruisci la storia facendo la simpatica» [Annalise Keating].
5. TITOLOThe Affair – Una relazione pericolosa. STAGIONI Due. Al via la terza il 30 novembre su Sky Atlantic. LA PROTAGONISTA Helen Solloway, affascinante moglie tradita. A interpretarla è Maura Tierney, per oltre dieci anni l’infermiera Abby Lockhart del medical drama E.R.. Per una strana legge del contrappasso televisivo, qui è proprio un’infermiera a portarle via il marito. Lei si dispera, si
infuria, si ubriaca e permette alla figlia maggiore di metterla su Tinder. Però, non c’è un’occasione una in cui perda la sua naturale classe, la sua bellezza matura, il suo essere sofisticata. Ricca di famiglia, ostenta ma con garbo. E ha gusto estetico da vendere (anche nella scelta degli uomini). LA CO-PROTAGONISTA La Veneta Grande by Bottega Veneta, con intreccio morbido in nappa steel. Si tratta di un’interpretazione della classica borsa Hobo: la forma a bisaccia deluxe è bohémienne e al contempo elegante, adatta agli impegni di Helen e ai suoi look rigorosamente casual chic e senza mai troppi guizzi. LA CITAZIONE CON STILE «Vedi? Questo è quello che succede quando non ci si scusa per 50 anni» [Helen Solloway].
«Dio, che bei diamanti…». «Dio non c’entra proprio niente, tesoro!».
Dal film in bianco e nero Night After Night, 1932.
«Dio, che bei bracciali…». «Dio non c’entra proprio niente, tesoro! Qui c’entra Dafni Gioielli».
Da una scena di vita di redazione, gennaio 2017.
Così succede di scoprire la storia brillante di due donne brillanti: Ilia Vafidis e Barbara di Lalla. In arte Dafni Gioielli, nuovissimo duo di jewellery designer che non si limita a creare pezzi unici, ma si prende anche cura dei monili dimenticati, delle pietre rimaste nel cassetto per troppo tempo, restituendo loro vitalità, lustro e attualità.
Ilia e Barbara si conoscono per caso. La prima, mamma di due bambine con una passione per i bijoux che arriva da lontano, ovvero dal papà greco che la porta con sé ogni volta vuole regalare un prezioso alla moglie, sta cercando un’orafa brava-brava a cui affidare la realizzazione di un bracciale con il nome della seconda figlia. L’ha fatto appena nata Penelope, lo desidera altresì per Margherita. Contatti e destino la mettono sulla strada di Barbara: una conoscenza certificata delle gemme e una tecnica internazionale maturata nei dieci anni trascorsi a Londra. Tra loro scatta il clic che può scattare tra le donne che sono tutto cuore e intuito. Dal bracciale è un attimo provare ad assemblare una collana con le iniziali di persone speciali al posto dei soliti ciondoli. L’una ha la preparazione, l’altra l’estro. Entrambe conoscono il gusto e che cosa vuol dire vestirsi con un gioiello. Ilia sfoggia la creazione e in due mesi fioccano 300 richieste. Sì, 300. Benedetto passaparola! E, allora, perché non partire da lì e spingersi ben oltre, dopo aver fissato quattro regole base? Regola n°1: niente bigiotteria. Regola n°2: pochi pezzi, rigorosamente con materiali di ricerca, pietre naturali, argento italiano, tanto colore raffinato. Regola n°3: il prezzo non deve mai superare quello di una borsa come si deve o di un paio di scarpe che slanciano. Buy buy, baby, però a cuor leggero. Ultima regola: massima personalizzazione.
Nascono gli anelli con cabochon di Tanzanite dalla nuance più unica che rara: pervinca, i solitari in oro rosa con brillanti brown (autentiche chicche, credetemi sulla parola), le fedine-veretta dalle sfumature che non ti aspetti. Ancora, collane a rosario che si ispirano alle tinte care a Giorgio Armani, bracciali di perle e a cordoncino, orecchini a bottone e a punto luce. E poi, ciondoli a forma di cuore portati in India per essere intagliati alla perfezione e targhette che hanno il sigillo degli orafi di Valencia e della Vecchia Milano (leggi distretto delle 5VIE) .
«I principi greci della verità e dell’autoevidenza rappresentano il nostro faro», racconta Ilia ricca di passione e giusto orgoglio. Specie per il progetto Fenice, con il quale ridanno vita ai monili dimenticati e ai tesori ereditati da nonne e bisnonne rimasti nel cassetto per troppo tempo.
«Il prossimo obiettivo? Un atelier a Milano, piccolo il giusto, romantico il necessario».
Nel frattempo, c’è il sito: www.dafnigioiellimilano.it, la pagina Facebook: Dafni_Jewellery, il profilo Instagram: dafni_jewellery e la possibilità di fissare un appuntamento in una location suggestiva: il ristorante Cavoli a Merenda in corso Magenta 66, Milano (dalle 9,30 alle 12 e dalle 15 alle 18, chiamando il numero 345 9049535).
Alle sue spalle, canyon e pareti rocciose contro il cielo blu terso. Sotto i suoi grandi occhi scuri, cascate e piscine naturali. Leandra Cerezo, per tutti Lea T, preferisce raggiungerle attraversando la foresta a piedi nudi. «Spensierata, arresa a me stessa», ci tiene a precisare la supertop 35enne dal fascino magnetico. Oggi la sua casa è la riserva di Alto Paraiso de Goiás, una comunità alternativa e neo-hippy sulle montagne del Brasile, il Paese in cui è nata. Fra indigeni e sciamani «assorbo energia, respiro spiritualità. È un posto magico, che ho scoperto appassionandomi di antropologia e di esoterismo. Cercavo un rifugio, dove smettere di concentrarmi sul mio corpo». Può suonare strano detto da una modella tra le più quotate al mondo, che ha condiviso le copertine patinate con Kate Moss e strappato applausi in passerella con Gisele Bündchen. «Però, contro questo mio corpo, ho sempre combattuto. Fino all’altro ieri».
Riavvolgiamo il nastro. A quando Lea T era una guerriera. E ripercorriamo le sue battaglie, quelle che ha vinto e quelle per le quali continua a lottare. In una sera di ordinario caos milanese, lontana dalla pace mistica di Alto Paraiso de Goiás, si racconta dal principio. Ovvero da una vita fa: il passato da Leandro, prima bambino sensibile, poi ragazzo inquieto; gli anni del percorso, medico e interiore, per cambiare sesso e diventare donna a tutti gli effetti. E ancora: gli esordi nella moda, con Riccardo Tisci di Givenchy che le ha messo il sigillo; i momenti difficilissimi, di pregiudizi feroci e di critiche cattive. Ma anche la corazza che ha saputo costruirsi e la serenità che ha saputo trovare. A volte si commuove. A volte s’incarta con la lingua, mescolando italiano e brasiliano. L’ascolti, la guardi e le vuoi bene. Perché se c’è una persona candida, per niente ambigua, senza doppio fondo, quella persona si chiama Lea T. Grata per ogni cosa, per gli scatti di queste pagine: «Mi vedo bellissima», e per un’esistenza che definisce, a sorpresa, «gloriosamente meravigliosa». Incantevole come un’eroina esotica della Disney, un po’ Pocahontas un po’ Esmeralda. Alta. Piena di grazia e iperfemminile in un lungo abito bianco, che sdrammatizza con un parka verde militare. Gentile. Curiosa. Appassionata.
Telecomando della tua vita in mano. Premi il tasto rewind. Che infanzia hai avuto?
«Sai che sto studiando i Pirahã, una tribù dell’Amazzonia per la quale né passato né futuro esistono? Conoscono solo il tempo presente. Mi piacerebbe imparare da loro a concentrami meglio sul qui e ora». Interessante. Ma, per dirla alla Emily Dickinson, “il passato non è un pacchetto che si può mettere da parte”.
«E mai lo rinnegherei. Ero Leandro, Leo per famigliari e amici, un bambino privilegiato, figlio di un papà famoso (l’ex calciatore-mito della Roma e della Sampdoria Toninho Cerezo, ndr). Due sorelle e un fratello con cui facevo cose da maschio vivace. No, non mi comportavo da femminuccia; però, preferivo la compagnia delle femmine. E quella dei più deboli: sono stato espulso da scuola per un litigio pesante con il preside dopo aver difeso un compagno di classe che veniva bullizzato. Da sempre, mi piace tifare per la squadra che perde».
>> LEGGETE IL RESTO DELL’INTERVISTA A PAG. 101 DI GLAMOUR FEBBRAIO.
Guai a chi dice che sia roba superata. Guai a chi pensa che accorciare le distanze faccia bene solo alla filiera alimentare. Quest’inverno, al benessere si arriva con ingredienti a chilometro zero. Perché il wellness local è di moda più che mai. Specie sulle Dolomiti, Patrimonio Unesco a portata di mano. Del resto, qui le materie prime non mancano. Dal fieno al pino mugo, dall’arnica al miele. Rimedi contadini e risorse naturali del territorio con cui nutrire mente e corpo. Qui trovate i più gettonati. E dove provarli.
1. LA FITOMELATONINA OVVERO Scrub, massaggi e impacchi a base di un estratto oleoso particolarmente ricco di melatonina, che si ottiene da piante alpine selezionate: Avena sativa, Achillea millefolium, Salvia officinalis… IL FATTORE BENESSERE Le skills di questa “melatonina vegetale”, che – per intenderci – ha la stessa struttura chimica di quella prodotta dal nostro corpo, sono più di quelle che pensi: è antiossidante e idratante, drenante e rassodante, protegge dai raggi UVA e UVB. IL DETTAGLIO LOCAL CHE FA LA DIFFERENZA Le piante da cui si ricava sono dolomitiche doc, of course. DA SCEGLIERE SE È il momento di concedere una boccata d’aria fresca alla tua pelle giovane “provata” dalla vita frenetica, dal freddo, dallo smog, da un’eccessiva esposizione solare, dal fumo…; di cominciare a prevenire l’invecchiamento cutaneo (non è mai troppo presto!); di regalarti un fisico effetto push-up. DA PRENOTARE CON L’amica, la collega, la vicina di casa… Ogni donna sia fan dell’attrice Amanda Seyfried, fotomelatonina-addicted dalla prima ora (e si vede). DA PROVARE QUI All’Hotel Adler Dolomiti, resort deluxe a Ortisei, nel cuore della Val Gardena (via Rezia 7, www.adler-dolomiti.com/it). Segna sul tuo carnet wellness e prenota anche il trattamento viso alle stelle alpine e il massaggio alla schiena al miele bio.
2. IL FIENO OVVERO Fitobalneoterapia o bagni di fieno, vere e proprie immersioni in erba fresca in via di fermentazione, dentro una vasca dove la temperatura raggiunge in media i 40/50 gradi. Durata del trattamento: una ventina di minuti. IL FATTORE BENESSERE Il fieno sprigiona il cumarino, una sostanza profumata che, abbinata a una miscela di supererbe (quali l’arnica, la camomilla di montagna, la veronica…), ha effetti curativi. IL DETTAGLIO LOCAL CHE FA LA DIFFERENZA La materia prima proviene e-s-c-l-u-s-i-v-a-m-e-n-t-e dai prati della zona oltre i 1.700 metri d’altitudine, che vengono coltivati secondo criteri ecologici. DA SCEGLIERE SE Hai bisogno di depurarti, disintossicarti, sciogliere le tensioni muscolari (specie da stress), rafforzare il sistema immunitario. DA PRENOTARE CON Il compagno con cui il rapporto è così simbiotico che può valere una della più belle battute della commedia di Ernst Lubitsch Vogliamo vivere!: “Io comincio una storiella? Tu la finisci. Io sto a dieta? Tu dimagrisci. Io sono raffreddata? Tu tossisci”. DA PROVARE QUI Per esempio, al Romantik Hotel Turm, quattro stelle superior a Fiè allo Sciliar, Alto Adige (Piazza Chiesa 9, www.hotelturm.it). Vale la pena aggiungere la coccola del bagno di Cleopatra a base di latte, miele e olio, e quello allo jogurt e mela.
3. L’ARNICA OVVERO Massaggi con l’arnica montana, che appartiene alla famiglia delle Composite. IL FATTORE BENESSERE Se i tecnicismi beauty non ti annoiano, sappi che i principi attivi contenuti (triterpeni, flavonoidi, tannini, cumarine, sesquiterpeni lattoni) conferiscono a questa pianta proprietà antinfiammatorie, antimicrobiche, antidolorifiche, stimolanti la circolazione. IL DETTAGLIO LOCAL CHE FA LA DIFFERENZA Esatto, pure l’arnica cresce spontaneamente nelle regioni alpine e prealpine. DA SCEGLIERE SE La tua parola d’ordine è leggerezza: a partire dalla gambe. DA PRENOTARE CON Gli amici di sciata, con i quali concedersi momenti di relax che aiutano anche a ridurre il dolore causato da eventuali cadute in pista. DA PROVARE QUI Per esempio, all’hotel Colbricon, stellato con la vocazione relax & bellezza, a San Martino di Castrozza (via Passo Rolle 229, www.hotelcolbricon.it). Il menù salutee prevede anche il bagno al timo serpillo e pino cembro o quello al vinacciolo e olivello spinoso: da “assaggiare” entrambi, per una rigenerazione a tutto tondo.
4. IL PINO MUGO OVVERO Bagni (davvero rilassanti) con una manciata di sale, 3/5 gocce di olio essenziale di cui è molto ricco il pino mugo e rametti sistemati sotto un panno steso sul fondo della vasca. Considera di rimanere in immersione per circa 20 minuti. IL FATTORE BENESSERE Questa pianta sempreverde, della famiglia delle Pinaceae, sa agire come antisettico, antibatterico, antinfiammatorio. Inoltre, rinforza le difese immunitarie. IL DETTAGLIO LOCAL CHE FA LA DIFFERENZA Indovina dove cresce il pino mugo? DA SCEGLIERE SE La stanchezza non ti lascia in pace, le tensioni muscolari non si sciolgono, i dolori articolari non si attenuano. DA PRENOTARE CON I parenti, per metterli al riparo da raffreddori, bronchiti e altre affezioni delle vie respiratorie: la loro gratitudine sarà a vita, a te e al pino mugo, che di poteri ne ha parecchi! DA PROVARE QUI Per esempio, al Naturhotel Lüsnerhof, una struttura fiabesca in pietra e larice, nella tranquilla Valle di Luson, a una decina di chilometri da Bressanone (Via Rungg 20, www.luesnerhof.it). In quest’osasi, tocca concederti anche il bagno al cembro alpino e al fieno di Luson. Che la spa sia con te!